venerdì 10 agosto 2012

Ecologia del vivere: le comunità intenzionali


Di Stefania Taruffi
Adoro le analisi sociologiche e comportamentali che, soprattutto in tempi difficili, rilevano grandi cambiamenti. La crisi italiana ne sta producendo molti, facendo emergere, in molti casi, un’energia personale e collettiva insperata. Dopo decenni di sprechi, indifferenza, individualismo spinto oltre ogni limite, stanno crescendo anche nella nostra società, i germogli di una maggiore consapevolezza che si estende in ogni campo e si traduce in un incremento nella ricerca della qualità, nel rispetto per se stessi e l’ambiente, nella condivisione di valori e stili di vita e in una maggiore socialità che porta a pensare e operare per la collettività, oltre che a se stessi.
EcovillageFlower 342x256 Ecologia del vivere: le comunità intenzionali
Findhorn ecovillage
Chi non sapesse dove andare quest’estate e vorrebbe fare un’ esperienza ricca di significato, immergendosi in un nuovo stile di vita, può essere ospite di una delle tante Comunità intenzionali che ci sono sparse in Europa, ma anche in Italia, come a Torri Superiori (www.torri-superiori.org), antico borgo alle spalle di Ventimiglia, oppure nella madre di tutte le comunità intenzionali a Findhorn, in Scozia (www.findhorn.org).
In pratica si tratta di eco-villaggi, ovvero gruppi di persone che hanno deciso di vivere, lavorare e mangiare insieme, nello stesso villaggio e che a volte condividono anche il denaro, le spese, i ricavati del lavoro, le faccende domestiche, ma, soprattutto che si sono uniti per condividere la stessa ‘intenzione’, da qui il nome, ovvero lo stesso percorso che sia esso esistenziale, spirituale o ecologico. Infatti, si chiamano anche eco-villaggi, perché hanno quasi tutti la stessa caratteristica di grande attenzione per l’ambiente con l’utilizzo di pale eoliche, energia solare, impianti di fitodepurazione, agricoltura biologica. Molti di essi si sostengono con l’offerta ricettiva e danno alle persone che desiderano visitarli, l’opportunità di fare corsi di permacultura, yoga, ceramica, vivendo dall’interno, l’esperienza comunitaria.
Interessante l’esperienza di Pescomaggiore, un paesino de L’Aquila, dove,  dopo il terremoto del 2009, un comitato per la ricostruzione ha fondato un eco-villaggio per dare una casa a chi aveva perduto tutto e la speranza di veder rinascere una comunità e le attività correlate (www.pescomaggiore.org).
Per saperne di più sulle comunità intenzionali nel mondo,  basta iscriversi alla newsletter  sul sito www.ecovillagenews.org.

venerdì 3 agosto 2012

Ecologia del vivere: torna di moda il baratto


Di Stefania Taruffi
crisi economica1 342x222 Ecologia del vivere: torna di moda il barattoNon ci sono più soldi, la crisi sta generando un aumento vertiginoso di creditori e debitori; imprese e attività chiudono i battenti in crisi di liquidità: la merce è acquistata, i servizi erogati, ma quasi nessuno li paga. Per i privati è possibile uscire da questo girone dantesco riducendo drasticamente i consumi, ma le aziende con giri d’affari e costi fissi non possono permetterselo. Tagliati gli straordinari, gli incentivi, ottimizzati i costi, se non rientrano dei crediti, falliscono.
E quando la crisi dilaga e i soldi latitano ecco che ci si deve ingegnare. Uno dei grandi ritorni è quello delbaratto.
Succede in Italia,  in molte località come a Nuragus, un paesino in provincia di Cagliari, dove non trovandosi ottomila euro per pagare il concerto degli Istentales si è pensato bene di ricorrere allo scambio: una prestazione musicale in cambio di pecore. Così la band di Nuoro ha ricevuto metà del guadagno in contanti e metà in ovini. Precisamente 15 pecore di razza sarda, super-selezionata.
Succede anche a Vimercate, dove è usuale riparare tutto anzichè buttare via,  dal frigo alla tv e alle biciclette, oppure fare la spesa insieme con altre famiglie e costruirsi la casa in comunità. Proprio in questo comune è stata organizzata poco tempo fa, una fiera dalla Caritas di Monza e Vimercate e da altre associazioni di volontariato, con cinquanta espositori tra cui Giuseppe Scarabelli, ex programmatore dell’IBN ben stipendiato che ha preferito tornare alla terra. Oggi è tra i soci dell’azienda agricola Il Gelso aMezzago che coltiva con i metodi dell’agricoltura biologica. Poco più lontano Tiziano Brigatti, con formaggi prodotti nell’azienda di famiglia a Bernareggio. Lo stand della «Corte del Girasole» introduce a un nuovo modo di fare edilizia: il ‘cohousing’. A Vimercate sono 15 le famiglie, 50 persone in tutto, che costruiranno una piccola comune. «Abbiamo partecipato a un concorso che metteva a disposizione il terreno – spiega Angela Colnaghi di Vimercate -. Faremo tutto noi. Avremo le nostre case, ma in un contesto comunitario, con spazi condivisi, locali per l’accoglienza e per il doposcuola che forniremo ai bambini di Vimercate». Accanto c’è l’angolo del baratto, dove chiunque può lasciare un oggetto e prenderne in cambio un altro.
Con la crisi si scopre l’’altra economia’. Più attenta agli individui e ai loro sentimenti,che al denaro. È un movimento sociale nuovo e sempre più esteso, che sta diffondendosi a macchia d’olio in moltissimi comuni italiani. Un’economia che parte dal basso, dai bisogni e dalle necessità della gente comune che non ce la fa più a vivere in maniera individuale e unisce e condivide i propri bisogni con altre persone, promuovendo una nuova ‘socialità’.
In Ogliastra, in Sardegna, la disoccupazione è al 17%, chiudono aziende e negozi. E’ una terra povera di business, ma ricca di sole, terreni agricoli e cibo, già oggetto di un servizio del Tg2 Rai: appena iniziata la micro-indagine alla ricerca di testimoni, l’edicolante ha confessato che suo cognato, possessore di un piccolo escavatore, lavora per il 40% ricevendo beni materiali, cibo e altri servizi in cambio delle sue prestazioni professionali.
Un albergatore ha confidato che un cliente ha pagato il suo soggiorno di agosto dando come contropartita tre frigoriferi “nuovi di pacca” del suo negozio recentemente fallito.
baratto1 Ecologia del vivere: torna di moda il barattoLa cosa stupefacente è che il servizio sul baratto in Ogliastra ha spinto un intelligente ogliastrino,Giangiacomo Pisu, tra l’altro autore di vari libri sulla Sardegna, a creare un gruppo su Facebook chiamato ‘Baratto Ogliastra‘ che conta con più di 2200 iscritti.
Gli italiani sono specializzati ad aggirare gli ostacoli e scovare delle soluzioni alternative, come sta accadendo a Concorezzo, comune della Brianza con quindicimila anime, che ha anch’esso deciso di ricorrere all’antico sistema del baratto. E’ un’idea dei negozianti e dei commercianti locali, come il Sig. Antonio Mandelli, il quale è titolare di uno studio fotografico. In pratica, si evitano i soldi e si scambiano i prodotti come accadeva in antichità.
Anche nel settore del turismo è tornato il baratto: sul sito www.bed-and-breakfast.it, per gli operatori del settore è stata istituita con grande successo già nel 2010 la ‘Settimana  del Baratto‘. Ogni terza settimana di novembre di ogni anno si può soggiornare barattando beni o servizi in cambio dell’ospitalità in tantissime strutture italiane aderenti al sito. Si può  barattare il pernottamento con delle lezioni di musica o, in alternativa, ospitare un idraulico o un giardiniere che elargiranno i loro servizi e dimostreranno la loro professionalità con piccoli lavori nella struttura. Oppure, si può offrire  alloggio in cambio di vino o di olio , o di prodotti tipici di una certa regione. L’unico limite è la fantasia e il buon senso.
La Settimana del Baratto sarà l’occasione per mettere in circolo viaggiatori, sensibilità, esperienze creando nuove relazioni di amicizia, stima e fiducia, oltre che un ottimo e inusuale modo per far conoscere l’ospitalità familiare, l’Italia e la sua gente.
C’è anche chi è andato molto oltre, come la Grecia, in forte depressione da qualche tempo: 20.000 senzatetto, un giovane su due disoccupato, 120mila esercizi commerciali hanno chiuso i battenti e il Ministero dell’Istruzione ha distribuito buoni pasto agli studenti che svenivano sui banchi dalla fame. Per far fronte alla crisi sono emerse inedite riserve creative e in tanti hanno deciso di rimettersi in piedi senza aspettare il nulla osta delle agenzie di rating. Ed ecco che gli ellenici si sono inventati una trentina di ‘valute’ locali per barattare merci e servizi. Un’idea anti-crisi nata dal basso che ha fatto nascere una nuova filosofia di vita e del ‘credito’.
In alternativa all’euro è nato il Tem, una nuova valuta adottata da molte associazioni greche: lezioni di computer a 20 Tem l’ora , da spendere in olio e pasta. In questo modo i disoccupati riacquistano disponibilità e il lavoro non si ferma. Nei circuiti sono entrati anche i professionisti e attività commerciali e sono in costante aumento coloro che aderiscono a questo nuovo sistema di pagamenti. Alcuni network sono molto organizzati con banche di Tem, ovvero pagine web, dove effettuare i passaggi della ‘nuova valuta’ tramite un clic, oppure con un sms, fino alla vecchia ‘stretta di mano’, o il ‘grazie’, per i meno pratici. Essere in credito di centinaia di ‘grazie, non ha prezzo. A tutto questo ci si arriva solo attraversando una crisi nera.

venerdì 20 luglio 2012

Ecologia del vivere: Dal Downshifting al Deleveraging, quando il cambiamento non è più una scelta


Di Stefania Taruffi
Non è un inglesismo forzato, ma queste due parole rendono perfettamente l’idea del concetto che esprimono e si sa, molte parole sono intraducibili, così come un nerd, resta un nerd.
empty piggy bank 213x256 Ecologia del vivere: Dal Downshifting al  Deleveraging, quando il cambiamento non è più una sceltaIl fenomeno del downshifting , tema da me trattato in precedenza, altro non era  che un lento e progressivo processo di cambiamento nel tessuto sociale, in un momento di crescente difficoltà socio-economica, riconducibile a un salubre ‘ridimensionamento’ dei tenori di vita, dei ritmi frenetici, delle aspettative di ciascun individuo, per acquisire un crescente benessere personale, in linea con i propri desideri e una sostenibilità dell’esistenza anche in termini di felicità personale e godimento del presente. Da questa filosofia hanno attinto molti ‘creativi culturali’, altro tema da me affrontato tempo fa. Trattasi di persone che hanno avuto il coraggio di scegliere strade difficili, seguendo i loro sogni e desideri più profondi, anche a scapito di un minore benessere economico. Una scelta di vita dunque, che porta alla rinuncia di un percorso sicuro e segnato per intraprendere la strada più congeniale al proprio essere interiore.
Ora ci troviamo in una fase diversa, che in un certo modo segna anche il superamento del downshifting (ridimensionamento), come scelta di vita:  il ‘deleverage’. In poche parole: il debito pubblico italiano da ridurre pro capite. Non è proprio una scelta personale, ma piuttosto forzata, in altre parole il nostro paese ha un debito pubblico e ci ha chiesto di ‘ridimensionarci’ nel contribuire a pagarlo: ca’ 32 mila euro ciascuno, neonati compresi. Un bel peso anche sui nostri figli e sul loro futuro. Ma non abbiamo scelta. Tutta la società deve vivere e lavorare ripagando i debiti contratti dai governi che si sono susseguiti  dagli anni ’80 in poi. Ci si riscopre più poveri e si deve lavorare e produrre di più, rinunciando anche alla qualità della vita. La società risponde dunque  in due modi, anche secondo il reddito: per alcuni cambia poco o niente. La maggior parte si riscopre molto più povero e lavora il doppio, per sopravvivere in un regime di downshifting  forzato. Alcuni scelgono la rassegnazione, riducono drasticamente i consumi  e se ne fanno una ragione, rafforzando la socialità.
Credo che i mercati ci abbiano fatto un favore, perché eravamo diventati troppo superficiali, spreconi  e molto egoisti.   Certi lavori nessuno li voleva fare più nessuno e abbiamo consegnato una larga fetta del mercato del lavoro agli stranieri e agli extracomunitari, che grazie alla loro voglia di lavorare ed emergere, stanno a volte meglio di noi. E ora abbiamo una disoccupazione crescente e un mercato saturo e senza denaro. La crisi aumenta la creatività, ci si deve reinventare per sopravvivere; rafforza la cooperazione e le famiglie uniscono le risorse, le ottimizzano, le ridistribuiscono al loro interno, facendo scudo contro la povertà incombente e le crescenti difficoltà quotidiane. Stanno rifiorendo le botteghe artigiane che riparano ogni cosa, perché gli oggetti che si rompono, o non vanno più bene, sono aggiustati, non più eliminati, costa troppo. Resuscitano i negozi  del riciclo, del baratto,  delle permute, anche le aziende senza liquidità, ripagano i fornitori in servizi o merci. Rivanno di moda i divertimenti che non costano nulla o poco: un gelato e due chiacchiere con gli amici e il ciambellone fatto in casa, che è più sano e costa poco. Mi auguro che rifioriscano anche l’impegno sociale e politico, perché abbiamo un bisogno estremo di nuove menti, idee, proposte che diano origine a movimenti e partiti in cui riconoscersi, disconoscendo la classe politica che ci ha portato a questo punto e rinnovandola completamente. Per ricominciare daccapo.

sabato 5 maggio 2012

Ecologia del vivere: disperazione e ordinaria follia


Di Stefania  Taruffi
Quadro raffigurante uomo disperato 342x226 Ecologia del vivere: disperazione e ordinaria folliaC’è un clima generale di crisi e ormai, siamo tutti sommersi da un malessere diffuso le cui radici affondano nei problemi quotidiani di sopravvivenza, sempre più pesanti e sfociano in un ostinato rifiuto del sistema politico-economico del nostro paese e di chi ci ha messo in questi pasticci negli anni, politici e amministratori pubblici in primis.  Ci ritroviamo in quest’Italia malandrina che non ci piace più tanto; ormai ci sentiamo abbandonati e non possiamo che subire le conseguenze di un diffuso malcostume, malgoverno, dell’imperante disonestà e incapacità di governare degli ultimi anni. Anche il governo tecnico, in cui molti avevano sperato all’inizio e che si sta dando da fare con tenacia per cercare di aggiustare e risanare il risanabile, non gode più di molta stima: troppe tasse, leggi, complicazioni che sembrano solo tamponare il collasso del paese, senza riuscire a risolvere i problemi dei singoli cittadini. Ormai siamo tutti sulla stessa barca e a lamentarsi sono anche coloro che per anni hanno contribuito a creare la crisi con i loro comportamenti  poco civici ed egoistici: persone arricchite alle spalle degli altri con i soldi pubblici, che hanno evaso il fisco spudoratamente, che hanno approfittato della loro posizione per spartirsi potere e denaro, alle spese del benessere pubblico e di una crescita comune. I tagli, la crisi, il downshifting toccano anche loro. La scure arriva inesorabile per tutti. Perché se l’economia non gira, calano gli affari, il lavoro, la disponibilità, la sicurezza e per alcuni, finisce la vita. Parlando con la gente comune, il quadro è devastante: famiglie con figli in cui entrambi i coniugi perdono il lavoro, aziende in crisi che devono licenziare impiegati che a loro volta hanno famiglia, attività commerciali che non riescono a sopravvivere, affitti ancora alle stelle, benzinai sul lastrico, perfino il Tabacchi della mia strada al centro, che per anni era considerato un privilegiato, sta per chiudere.
L’indebitamento, che per anni ha costituito un modello di vita per molti, ora è diventato un fardello insostenibile per chi guadagna molto meno, o perde del tutto il reddito: mutui, rate, debiti, sono diventati dei veri e propri macigni sulle spalle delle famiglie o di chi ha perso tutto. E per alcuni, da un giorno all’altro, dopo notti insonni e mesi di sofferenze, arriva il momento del crollo, della follia, della morte.  36 sono i suicidi fino ad oggi, dovuti alla crisi economica. E gesti folli, come quello dell’uomo indebitato della provincia di Bergamo, asserragliato in un ufficio dell’Agenzia delle entrate con degli ostaggi, sono solo l’inizio di una follia collettiva. Ce ne saranno molti altri, di gesti estremi, purtroppo. Poi c’è il resto della gente, che ha perso leggerezza, sorriso e serenità. Che sopravvive, si barcamena a stento. Forse molti hanno vissuto sopra i propri mezzi negli anni passati, altri sono stati poco lungimiranti, altri ancora semplicemente sfortunati, ma c’è poca allegria in giro. La società vive una condizione di stress che non ha precedenti nella storia recente del paese, anche perché in questa congiuntura, la percezione di solitudine si coniuga con un pericoloso vuoto d’autorità. Non ci sono più riferimenti sopra di noi: la percezione è quella dei soliti litigi poco costruttivi fra i politici, delle ‘solite facce’ fra i leader di partito, che non ci sia alcuna intenzione e capacità fra essi a risolvere i reali problemi del paese. I canali di comunicazione con il popolo, da parte di associazioni e rappresentanze di categoria, sono flebili e il cittadino si sente sempre più ‘solo’, nutre sempre meno speranze di riscatto collettivo e tende a privatizzare i suoi conflitti e i suoi rancori. Questi suicidi, che non andrebbero enfatizzati a scopi di propaganda politica, sono il segno del divario crescente fra i vari livelli della società e il sintomo di una profonda mancanza di riferimenti , di modelli di vita privati o collettivi, su cui basarsi. Non si vede fra i politici e le associazioni la reale volontà di ricucire, di ricostruire. Ancora una volta, il cittadino deve assistere al triste spettacolo di una classe dirigente che alza la voce, invoca scioperi, promette vendette, è incriminata, o accusata di aver rubato allo Stato. Politici che si cercano avversari, più che alleati, che lavorano a distruggere, piuttosto che a ricostruire. I cittadini sono stanchi di sentire tanto chiasso e ricevere solo conti da pagare, senza nulla in cambio. Sono stanchi di essere soli, ostaggi della propria disperazione. Alcuni hanno deciso di farla finita. La maggior parte invece resiste, ma sta male. Conosco poche persone che in questo periodo  sono serene. L’angoscia è imperante. Il futuro incerto. I giovani sono rassegnati: non hanno più davanti a sé un percorso, solo incognite e difficoltà. Prima era il malcostume, l’ignoranza, la maleducazione, l’intolleranza e l’indifferenza, l’assenza di amore e di speranza a soffocarci. Ora mancano anche il lavoro e quindi soldi. E senza di quelli non si può vivere. Non lo trovo un passo in avanti per migliorare il nostro grado di civiltà. Migliorare la qualità delle persone e del vivere, lavorare su contenuti e valori umani e sociali implica un benessere, sia pure basilare, dal punto di vista economico. Oppure può essere valido anche il contrario: è dalla privazione, dalla sofferenza, dalla perdita della sicurezza che possono rinascere i valori di base che sembravamo aver perso: la solidarietà, la semplicità, il ridimensionamento, la collaborazione, la condivisione, la pietas, la gentilezza, la generosità, l’affettività, il desiderio di cambiare le cose, nuovi modelli sociali. E perché no, anche la ribellione ai vecchi sistemi e la forza di combattere, di cambiare le cose che non vanno. Tutte cose che non costano nulla.

domenica 22 aprile 2012

Ecologia del vivere: la dimora del tempo sospeso


Di Stefania Taruffi
180835 188902171143000 172737262759491 495001 5380547 n1 342x229 Ecologia del vivere: la dimora del tempo sospesoA volte mi chiedo dove si fermi il tempo, dove dimorino quei puntini di sospensione della nostra vita in cui ci sentiamo a ‘casa’, dove il tempo scompare per un istante, lasciandoci in quel limbo emotivo di quiete, stasi, rilassamento, in cui ci culliamo nel pensiero, nell’attesa, nell’assaporare l’attimo e fermarlo. Ed ecco che nel fremere della corsa quotidiana cresce l’anelito a rallentare i ritmi, ad andare più piano, decelerare. Cercare di afferrare quegli attimi, sempre più sporadici, in cui si vive al rallentatore, senza fretta, in un clima di domestica pacatezza.  “La calma nell’azione. Come una cascata diventa nella caduta più lenta e sospesa, così il grande uomo d’azione suole agire con più calma di quanto il suo impetuoso desiderio facesse prevedere prima dell’azione.” diceva F. Nietzsche. L’azione costante è inevitabile, siamo cascate di energia produttiva, di acqua fremente, siamo fiumi in piena che scorrono ricoprendo ogni cosa, senza sosta. Sempre nei flutti, sempre in avanti. Produttivi, incisivi, proiettati sugli obiettivi, sembra impossibile poter dire di no alla velocità e alla competizione, siamo sempre collegati accesi sull’’on’, perché lo ‘stand by’ ci sembra solo un tasto funzionale, adatto solo a riprendere temporaneamente fiato. Eppure questa posizione, tra l’attività e l’inattività, è l’unica che ci fa assaporare ogni istante fino in fondo, che ci pone in relazione con il nostro essere più profondo, ci aiuta a riflettere con più consapevolezza e a prendere le decisioni più giuste.
Il nostro corpo non può fermarsi: il cuore batte centottantamila volte in 24 ore, pompa 8.600 litri di sangue. I nostri polmoni respirano in un giorno 120 mila litri di aria. I nostri ritmi, quindi, sono già velocissimi per necessità fisiologica e accelerarli sbilancia l’equilibrio psicofisico.
Il tempo della vita è il bene più prezioso che abbiamo. E’ vero che non bisogna sprecarlo. Tuttavia, chi vive con ritmi rilassati, comprende più degli altri se stesso e il mondo. La fretta, invece, è un modo di bruciare il tempo della propria esistenza senza viverlo pienamente. Dobbiamo sì essere lucidi e consapevoli, afferrare al volo quello che gli antichi greci chiamavano ‘kairos’, il momento opportuno. Tuttavia, ci sono dei momenti in cui dobbiamo rilassarci, riflettere, rallentare il ritmo dei nostri pensieri, sedimentarli, ponderarli, assaporarli, ascoltare il nostro stesso respiro. Dobbiamo diventare tutti un po’ più ‘filosofi’. Ma a cosa  serve nel terzo millennio la filosofia? Serve a meditare. Platone diceva che il  vero filosofo deve fermarsi, sedersi e mettersi a meditare perché soltanto in questa forma d’immobilità si riesce a pensare. E il pensiero è vitale. Quando pensiamo e meditiamo entriamo in un altro ritmo, che possiamo definire infinito. Noi viviamo tutti i giorni nel tempo finito, quello misurabile, dagli orologi, dai calendari, dagli appuntamenti e dalle scadenze. Tutte cose necessarie. Tuttavia, nello stesso tempo, dobbiamo  saper entrare nell’infinito per assaporarlo. Se non riusciamo mai a conoscerlo e a entrarvi, non saremo in grado neanche di apprezzare il finito quotidiano.20090313limits 342x213 Ecologia del vivere: la dimora del tempo sospeso
Lentezza, attesa, ozio. L’ozio è un’arte, elogiato da Lafargue, Bertrand Russel, De Masi, perNietzsche, era una virtù, per Kundera: “ il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio”. Grande successo ha avuto il libro di  Muriel Barbery “L’eleganza del riccio”, la  storia di una donna che trascorre la sua vita a osservare e imparare molto dai comportamenti delle persone che popolano l’elegante casa in cui lei è portinaia, e nella sua tranquilla dimora, trascorre all’insaputa di tutti anche dei più maligni, il suo tempo a divorare libri, intere opere enciclopediche, e a formarsi una coscienza di sé e degli altri così fine, da far invidia al miglior psicologo o professore di filosofia teoretica.
Quante volte ci troviamo dietro la macchina una persona che suona impaziente, osserviamo sorridendo gente che sbuffa in fila alla posta, o di fronte ad una cassiera che ‘va lenta!’, oppure diventiamo impazienti di fronte a una persona che prima di decidere, riflette qualche secondo. Esseri lenti per la nostra società non è una qualità, ma un male, un difetto, una manchevolezza. L’etica calvinista l’abbiamo ormai nel sangue: guai a sprecare tempo! ‘Il tempo è denaro’, ‘chi ha tempo non aspetti tempo’. Eppure dobbiamo imparare a svuotare la testa dai pensieri per formarne di nuovi ed essere consapevoli del fatto che questo sia un atto creativo.
La lentezza invece è un bisogno fisiologico, fa parte dell’essere umano. Se si andasse più lentamente, se ci si guardasse attorno senza fretta, forse si vedrebbero più cose, molti più dettagli, bellezza, si capirebbero di più le persone. Quante volte le persone ci parlano e noi non le ascoltiamo, non diamo loro la giusta attenzione.
Cercare lentezza è anche un insegnamento zen: ‘fermati, respira profondamente, sorridi e pensa positivo’. Per riuscirci, proviamo a rallentare, a essere consapevoli, focalizzati su ciò che la vita ci offre, senza pensare troppo al domani, senza fretta, frenesia, stress. Il risultato del rallentamento sarà la qualità, in tutte le cose che faremo. Proviamo a mangiare più lentamente, migliora la digestione, si sentono meglio i sapori, si mangia di meno e meglio. Respiriamo più profondamente, ci consente di calmare i nervi, ridurre lo stress e assumere maggiore consapevolezza del momento. Conversiamo di più e meglio, dando alle conversazioni il giusto tempo, senza fretta, ci aiuta a capire di più i  nostri interlocutori, magari non solo attraverso cellulari o chat, ma guardandoli negli occhi. Il dialogo diretto è un modo piacevole per comprendere a fondo una persona, ascoltando le sue vibrazioni. Quante volte ci accorgiamo che ‘le ore volano’, dialogando con una persona interessante?
Impariamo a meditare. A entrare cioè nel profondo del nostro essere per cercare la nostra essenza, i nostri desideri, le emozioni, i progetti, i pensieri in fieri per valutarli, crescerli, arricchirli, vederne i punti deboli. Dedicare tempo a noi stessi e ai nostri pensieri è vitale: essi saranno le nostre azioni future. La nostra vita.
Infine assaporiamo l’amore: per la vita, per un hobby, per una persona. Con lentezza, con passione, dedizione, cura, cogliendone le infinite sfumature, le emozioni, concedendo qualcosa di noi ad ogni persona che incontriamo.
Agire con più lentezza, significa tornare ‘a casa’: ritrovare qualità, armonia, serenità ed energia per costruire la nostra esistenza, nel migliore dei modi.

lunedì 19 marzo 2012

Ecologia del vivere: per un giorno dalla parte dei papà


Di Stefania Taruffi
padre e figlio 1 342x211 Ecologia del vivere: per un giorno dalla parte dei papà

Il 19 marzo si usa celebrare il papà. Questo è il suo giorno e nessuno al mondo può toglierglielo. Tuttavia, prima di parlare di paternità, occorre soffermarsi una volta tanto sul protagonista della paternità, sull’uomo e sui nuovi modelli maschili, frutto dell’emancipazione femminile, di cui psicologi e sociologi discutono da qualche tempo. Nel libro di Franco Bolelli:“Con il cuore e con le palle”, sono ben identificati i nuovi prototipi maschili, nei quali molte donne identificano elementi di debolezza, sfiducia, insicurezza. Anche in uomini dotati di sensibilità, cultura, simpatia e intelligenza, ma forse troppo assoggettati al moderno ‘politically correct’. “Senza palle” sono definiti molti uomini, per il semplice fatto che cercano disperatamente di venire incontro ai nuovi modelli femminili che chiedono sempre di più: collaborazione, parità, diritti e tempo per sé. E molti uomini, pur di far felici le proprie compagne di vita, abbandonano i propri sogni, desideri, obiettivi, rinunciando anche al senso dell’impresa e della creazione, propri del maschile, che andrebbero recuperati per farli funzionare anche all’interno della coppia e che invece, spesso, sono cancellati del tutto. Non possiamo far finta di niente, non si può sempre e solo parlare di noi donne, dei nostri diritti, problemi (seppur presenti e attuali), di parità, di ciò di cui abbiamo bisogno noi protagoniste femminili, madri, donne. E non trovo giusto nemmeno, in questo giorno, accanirsi contro gli uomini ‘disgraziati’, i padri che abbandonano le famiglie e i propri figli, che pure esistono, ma di cui oggi non voglio occuparmi. Esiste anche lui, l’uomo premuroso, dolce, altruista, pieno di amore e rispetto: il Padre. Prima ancora della paternità bisognerebbe andare alla radice e parlare anche di ‘diritto alla paternità’, che in alcuni casi è negata di fatto: molti uomini desiderano un figlio, il primo, il secondo, ma le proprie compagne sono troppo prese a fare carriera e spesso non lo vogliono, sapendo di dover rinunciare al proprio appagamento personale, affrontando sacrifici incredibili. Tuttavia, esiste anche la casistica degli uomini, in aumento vertiginoso, che il figlio desiderato riescono a metterlo in cantiere, a farlo nascere, a iniziare a crescerlo, ma poi, a causa di una relazione insostenibile, sono costretti a separarsi, con l’inevitabile distacco non solo dall’odiata compagna, ma purtroppo e con estremo dolore, anche dall’amato figlio. E poiché il buon senso, la generosità e l’equilibrio, ma soprattutto l’amore, che dovrebbero essere il nucleo del ‘femminile‘, non sono doti che appartengono più a molte donne, accade che a taluni padri di fatto non sia più concesso nulla, o troppo poco, rispetto ai desiderata. Sempre più spesso, i padri si ritrovano sbattuti fuori dalla propria casa, senza poter avere con sé i figli, che non dimentichiamo, sono anche frutto del loro sangue e senza più un soldo in tasca, neanche per pagarsi un nuovo affitto. Il tutto tra mille ricatti, sfide, impedimenti voluti e dichiarati, sotto la tirannia del ‘rimborso’ a piè di lista da parte di donne avide e ingorde che li riducono a meri ‘papamat’, dei papà-bancomat ai quali attingere al bisogno. Le relazioni tra ex coniugi e tra questi e i figli sono sì tutelati per legge. Oggi, con l’affido condiviso, gli uomini hanno raggiunto un importante traguardo nella ridefinizione giuridica della delicata gestione dei figli. Sulla carta questo rappresenta un cambiamento epocale, in quanto stabilisce il cosiddetto principio di “bigenitorialità”: alla separazione dei genitori, non consegue necessariamente, come nella precedente disciplina dell’affidamento esclusivo, la separazione di uno dei genitori dai figli. Tuttavia, all’atto pratico, quando un uomo si ritrova a doversi relazionare con un’ex moglie incattivita, con la quale generalmente i figli vivono, deve combattere guerre quotidiane e accettare compromessi, anche umilianti, pur di poter dare anche solo un bacio al proprio figlio, davanti alla scuola. Senza necessariamente generalizzare, quante di queste situazioni osserviamo ogni giorno! Non andrebbe mai dimenticato che la figura del padre è molto importante e decisiva nella delicata fase di crescita del bambino, dell’adolescente e che questo si nutre dell’amore di entrambi i genitori. Entrambi, ognuno a proprio modo, dovrebbero avere il diritto di vederlo crescere sereno e pronto ad affrontare la vita. Allora, in questo giorno, forse molte donne dovrebbero per una volta superare le barriere dell’emancipazione fine a se stessa e del proprio egoismo e mettersi nei panni dei padri strappati e allontanati dai propri figli: nel loro dolore, nella solitudine, frustrazione e sempre più spesso, nella loro disagio, anche economico. Quello che servirebbe ad alcune donne è solo un pizzico di buon senso e di generosità che renderebbero più fluide le relazioni e più serena anche la vita di un figlio. Un padre non va mai dimenticato. Nemmeno ricordato. Andrebbe vissuto pienamente e  un figlio lo sa bene. E’ una questione importante: se ne ricordino anche le ex.

giovedì 8 marzo 2012

Ecologia del vivere: va di moda uccidere le donne


Di Stefania Taruffi
mimosa 342x256 Ecologia del vivere: va di moda uccidere le donneQuest’anno la festa delle donne avrà meno mimose, gelate nel nostro rigido inverno e duramente colpite dal Burano. Nell’entroterra della provincia di Imperia, dove c’è il 95% della produzione nazionale di mimose, si è registrato un crollo del raccolto di questo meraviglioso fiore, pari al 50-60% (Confagricoltura). Alla crisi di vendite degli ultimi anni si è aggiunto dunque il maltempo, che ha compromesso la crescita e la fioritura del fragile fiore dedicato alle donne.
E come i loro fiori, anche le donne stesse sono uccise sempre di più. Non dal caso, dalle malattie, ma dai propri compagni, per eccesso di odio, o di amore. Aumenta infatti vertiginosamente il numero di uomini, fidanzati, amanti, mariti, spesso ex , che uccidono le loro donne. Ogni tre giorni avviene un ‘femminicidio’, un neologismo nato per dire basta ad ogni forma di discriminazione e violenza posta in essere contro la donna “in quanto donna“. Perchè le donne non debbano più pagare con la vita la scelta di essere sè stesse, e non quello che i loro partner, gli uomini o la società vorrebbero che fossero. Questi ‘femminicidi’vengono perpetrati da parte di uomini colti da raptus da gelosia, abbandono, follia, dipendenza, violenza, troppa responsabilità, che crollano e ammazzano brutalmente la donna a coltellate, a botte o la freddano con una pistola e con lei, spesso, anche i propri figli. Uomini sempre più fragili e disorientati che non reggono emotivamente situazioni di crisi, sia essa economica o relazionale, di cambiamento di partner da parte della propria compagna, di abbandono e trovano dentro di sé solo una rabbia violenta, e come unica soluzione, quella di uccidere senza pietà. A volte finiscono con l’uccidere anche se stessi. Disperazione pura, gesti estremi che non sono più solo generati da uomini ’folli’. Spesso a compierli sono persone normali, definite ‘tranquille’ ed ‘equilibrate’. Altre volte la violenza nasce e cresce negli ambiti familiari fino al gesto estremo, che esplode al culmine di anni di soprusi, violenze fisiche e psicologiche, stalking. La violenza sulle donne è un fenomeno sempre più diffuso e attuale, ma molti casi non sono neanche denunciati. E il tema non sembra essere di grande attualità sui media, che affrontano il problema solo ad omicidio avvenuto, rilevando il fatto di cronaca nera. E anche gli uomini che si dissociano da tali comportamenti, fanno poco o nulla per sostenere le donne in questa lotta per la propria tutela morale e incolumità fisica.1327413776 mano violenza donne 410x307 1 1 150x113 Ecologia del vivere: va di moda uccidere le donne
Il problema resta esclusivamente delle donne, ed è serio. I fondi destinati ai centri Antiviolenza sono stati tagliati, per poi essere ritirati fuori in extremis, dal Ministro Carfagna prima della caduta del governo Berlusconi. Molti centri hanno chiuso, altri sopravvivono grazie a donazioni private. L’importanza di questi centri antiviolenza è fondamentale. E’ grazie a loro, non alle Questure che non hanno dati ufficiali, che conosciamo il reale numero delle violenze e degli omicidi che avvengono ogni anno in Italia: solo nel 2010, per esempio, hanno perso la vita 127 donne, di cui 114 sono state uccise da membri della famiglia, 68 erano partner, mentre 29 ex partner. Da questi centri sappiamo anche che la maggior parte di questi omicidi avvengono in casa, non in strada. Molti casi di violenza domestica non arrivano alla morte fisica della donna, ma sono ancora peggiori, perché la devastano interiormente, fino a spegnerla. Che, a volte, è peggio di morire.
Quello del nostro paese è principalmente un problema culturale dei rapporti uomo-donna.  Ciò che resta è una cultura, cristallizzata nel tempo, di rapporti fra i sessi fondata su legami di subalternità dell’universo femminile nei confronti di quello maschile, di cui la violenza è solo l’espressione estrema, più bestiale.
Gli uomini hanno costruito nei secoli un legame di dipendenza dalle donne molto forte. Sono in stretto contatto con il corpo femminile fin da piccolissimi, sviluppando in seguito negli anni un legame che si forma nella figura della donna-madre. Che poi evolve nel rapporto donna-compagna. Questa evoluzione dovrebbe essere accompagnata da un reciproco rispetto delle individualità, senza dipendenze. La donna però è cambiata, c’è una maggiore libertà da parte sua, di scegliere, rifiutare, di non accettare passivamente l’ingerenza o la sopraffazione dell’uomo, tanto meno di stabilire dipendenza. La nuova consapevolezza femminile rende le donne più indipendenti, mentre la dipendenza degli uomini dalle donne, resta. In un nuovo contesto in cui l’uomo non riesce più a comprendere i nuovi modelli femminili, adeguandovisi, ecco che scatta la violenza, a vari livelli, insita nel nostro retaggio culturale, così radicato da secoli di cultura profondamente maschilista.  A volte resta cristallizzata nella violenza verbale; altre volte accade che degeneri in fisica o psicologica. Poi c’è il gesto estremo.
Si dovrebbe dibattere di più su quest’argomento così importante. Non è da paese civile ed evoluto avere le cronache dei giornali piene di omicidi di donne, come l’ultimo, perpetrato dal camionista 34enne Mario Albanese che ha ucciso l’ex compagna, il nuovo fidanzato e sua figlia, per gelosia. C’è ancora molto da fare, temo, per quanto riguarda l’emancipazione della donna, intesa nella sua forma più elementare, quella cioè del rispetto della sua persona, delle sue scelte. Anche quella di non amare più, senza per questo essere uccisa, dallo stesso uomo che diceva di amarla.